Medicina e società

Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life

Sallnow, Libby, et al. "Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life." The Lancet399.10327 (2022): 837-884. 


Un recente articolo, pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet (www.thelancet.com) presenta il tema della morte da una prospettiva inconsueta per la medicina, e trascurata. L’enorme sviluppo tecnologico e medico hanno portato spesso a prolungare il fine vita, fino a mantenere la persona in uno stato ambiguo. Le finalità mediche sono ovvie: tentare tutto fino alla fine. Ma c’è un prezzo: sottrarre il processo della morte a quel senso di fragilità dignitosa, di consapevolezza dell’essere natura, alla vicinanza dei cari.

“La morte, il morire e il lutto oggi sono diventati squilibrati. L'assistenza sanitaria è ora il contesto in cui molti incontrano la morte e mentre le famiglie e le comunità sono state spinte ai margini, la loro familiarità e fiducia nel sostenere la morte, il morire e il lutto è diminuita. Le relazioni e le reti vengono sostituite.”

L’articolo ricorda che “Morte e vita sono legate insieme: senza morte non ci sarebbe vita. La morte permette nuove idee e nuovi modi. La morte ci ricorda anche la nostra fragilità e identità: tutti moriamo. Prendersi cura dei morenti è un dono, come hanno riconosciuto alcuni filosofi e molti caregiver, sia laici che professionisti. Gran parte del valore della morte non è più riconosciuto nel mondo moderno. Riscoprire questo valore può aiutare la cura alla fine della vita e migliorare la vita”.

La Commissione Lancet sul valore della morte suggerisce alcuni “principi” che il mondo medico dovrebbe considerare per “una nuova visione di come potrebbero essere la morte e il morire”: 

“morire dovrebbe essere inteso come un processo relazionale e spirituale piuttosto che semplicemente un evento fisiologico”;  “le reti di assistenza dovrebbero guidare il supporto per le persone che muoiono, per i cari che si prendono cura di loro e soffrono”; “si dovrebbe parlare di storie sulla morte quotidiana, la morte e il dolore dovrebbero diventare comuni; e la morte riconosciuta come avente valore”.

Understanding and Communicating Uncertainty in Achieving Diagnostic Excellence

Un  viewpoint pubblicato sulla rivista JAMA (Journal of the American Medical Association - Published Online: March 3, 2022. doi:10.1001/jama.2022.2141) finalmente affronta un tema molto spesso sottovalutato nella pratica medica: la comunicazione dell’incertezza al paziente.

La medicina, la diagnostica in particolare, è inevitabilmente soggetta all’incertezza. 

Un esempio molto semplice: pensate a un mal di testa. Le cause possono essere numerosissime. Il medico ha criteri per cercare di capire se il mal di testa è sintomo di gravi malattie o è un innocuo disturbo. I criteri aiutano, ma sono su base statistica. Il medico spesso non può affermare con certezza la diagnosi. Se lo facesse potrebbe essere solo superficiale. Potrebbe essere corretto comunicare al paziente che il mal di testa non ha caratteristiche che suggeriscano gravi malattie in atto, ma potrebbe essere opportuno rimanere in contatto, prendere tempo e vedere l’evoluzione. E il medico deve pesare il rapporto costo/benefici di avviare procedure diagnostiche. Questa potrebbe essere una buona opzione. Ma quale interpretazione questa "incertezza" può innescare nel soggetto che consulta il medico? Il ragionamento probabilistico è spesso considerato con ostilità e visto come mancanza di competenza. 

L’articolo ricorda infatti che “La risolutezza con cui i medici fanno una diagnosi può essere percepita come un riflesso di competenza diagnostica e competenza clinica”. Al contrario, “essere incapace di spiegare ai pazienti ciò che causa i loro sintomi può essere percepito come un fallimento per tutti i soggetti coinvolti. Quando i medici e i pazienti dimorano nell'incertezza diagnostica, si possono innescare sentimenti di preoccupazione e ansia, che possono portare i pazienti a diffidare della competenza dei medici.”


Il medico può vivere il conflitto tra due opposte, se pure onorevoli, tendenze: esprimere sicurezza per dare conforto nel trasmettere (apparente) autorevolezza; esprimere incertezza come necessario elemento del processo diagnostico. La rivista aiuta a identificare la scelta giusta, ricordando che “l'incertezza che circonda la diagnosi non deve essere percepita come una minaccia per l'autorità medica, l'esperienza o la professionalità. Al contrario, i medici che incoraggiano apertamente e si impegnano in discussioni sull'incertezza senza colpa o penalità modellano eccellenti processi diagnostici”. 

L’articolo sottolinea che “una comunicazione efficace sull'incertezza … è essenziale per evitare errori diagnostici e danni al paziente”.

"Per gestire efficacemente la complessità e le sfide del processo diagnostico, i medici e i pazienti devono trovare approcci per affrontare l'incertezza. Riconoscere, abbracciare e comunicare l'incertezza apre possibilità diagnostiche e un modo per raggiungere l'eccellenza diagnostica”.

Comuncazione medica e statistica

Pesticidi e salute

I pesticidi sono nati allo scopo di provocare tossicità agli organismi e quindi la plausibilità di effetto dannoso dovuto all’esposizione acuta o cronica ha un ovvio fondamento. Tuttavia, i dati a disposizione derivano da studi osservazionali che sono notoriamente inadeguati a definire un rapporto causale tra un agente chimico e il suo effetto, vantaggioso o dannoso che sia. Inoltre, l’entità di esposizione, in particolare quella cronica, è difficilmente misurabile. Gli effetti visibili spesso emergono a distanza di tempo rendendo plausibile l’interferenza di altre variabili, per questo definite confondenti. Inoltre, il gruppo di controllo spesso non è adeguato. Per esempio, se in un gruppo esposto c’è una certa incidenza di tumori, tale incidenza andrebbe comparata con un gruppo analogo (stesse caratteristiche biologiche, alimentari, abitative, etc.) non esposto, che per ovvie ragioni raramente è disponibile. Ulteriore difficoltà riguarda le potenziali interazioni tra diverse molecole, spesso usate insieme. Esistono, per esempio, dati sul potenziamento a livello molecolare di alcuni erbicidi da parte degli organofosfati 1. Le considerazioni che seguono devono quindi essere considerate in progress, in attesa che nuovi dati aiutino a definire il problema.

Trascureremo gli effetti acuti da ingestione accidentale o scopo suicidario, che non sono di rilevanza ai fini del biodistretto.

 

Esistono dati che suggeriscono un legame tra l'esposizione ai pesticidi e varie malattie tra cui cancro, disturbi ormonali, asma, allergie e ipersensibilità, difetti alla nascita, peso alla nascita ridotto, morte fetale, ecc. La letteratura sull’argomento è vastissima (oltre 30.000 pubblicazioni in inglese, con peer-review), i dati molto spesso discordanti o non paragonabili tra gli studi 2,3.

 

Il rischio più temuto per i pesticidi riguarda le neoplasie. Recenti review sistematiche 4,5 della letteratura hanno analizzato studi riportati in pubblicazioni censite su https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/. Sono studi osservazionali su persone la cui esposizione a un pesticida è stata valutata attraverso interviste, informazioni geografiche, matrici di esposizione professionale o residui in prelievi biologici. I risultati sono contrastanti. Un numero di studi riporta un’associazione tra esposizione e tumore, altri no. L’associazione tra tumore e pesticidi è stata valutata soprattutto in contesti occupazionali e comunque i dati sono distribuiti su parametri diversi che si riferiscono a diversi pesticidi, diversi tipi di tumore, differenti popolazioni e intensità di esposizione. Una meta-analisi del 2016 6 indica che l’esposizione a pesticidi “potrebbe essere un fattore di rischio per cancro del rene”. Studi epidemiologici che esaminano l'associazione tra l'esposizione a pesticidi e il cancro alla prostata sono eterogenei e forniscono risultati incoerenti. I risultati positivi sono stati per lo più limitati all'esposizione professionale e a gruppi specifici, per esempio utilizzatori professionali che hanno una storia familiare positiva di cancro della prostata (Lewis-Mikhael et al. 2016). Una review di 15 studi caso-controllo, per lo più condotti in Cina ed Egitto, per esaminare il rischio di carcinoma del fegato non ha dato risultati conclusivi. La maggior parte degli studi non ha mostrato alcuna associazione tra l'esposizione (auto-dichiarata e/o professionale) e il rischio. Sei studi hanno dimostrato associazioni positive statisticamente significative. Questi studi in genere erano limitati da metodi di valutazione dell'esposizione o bias di selezione e presenza di fattori confondenti 7. Gli autori concludono che esistono “… prove contrastanti che suggeriscono una possibile associazione tra pesticidi specifici e rischio di cancro del fegato, con le prove più forti osservate negli studi basati sui biomarcatori, in particolare per i pesticidi organoclorurati, compreso il DDT” 7. Alcuni autori hanno sottolineato che l'entità dell'associazione tra elevata esposizione ai pesticidi e cancro, che risulta dai vari studi, è correlata alla metodologia adottata dagli studi stessi: più forte l’associazione minore la qualità dello studio 8. In ogni caso i dati di un qualche significato riguarderebbero prevalentemente le esposizioni occupazionali. L’insieme dei dati suggerisce una possibile associazione di alcuni pesticidi con il rischio di cancro. 

Attualmente, oltre 800 principi attivi e migliaia di formulazioni di pesticidi sono sul mercato negli Stati Uniti e in altri paesi, ma solo insetticidi arsenicali (International Agency for Research on Cancer, 1991) e TCDD (un contaminante dell'erbicida fenossi 2,4,5- T) sono identificati come cancerogeni per l'uomo dall'IARC (categoria 1) (International Agency for Research on Cancer, 1997). Recenti dati suggeriscono un rischio di cancro associazione a altre sostanze chimiche, come insetticidi clorurati, organofosfati e carbammati ed erbicidi fenossiacidi e triazinici. Secondo la International Agency for Research for Cancer le sostanze per cui deve essere data priorità nella ricerca allo scopo di confermare la possibile cancerogenecità sono: malathion, diazinon, lindane, permethrin, pendimethalin, carbaryl, altre tra cui DDT, glyphosate avrebbero priorità media (https://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/event/documentset/150218-p05.pdf). Una review di Alavanja “…focalizzata sugli articoli usciti dopo la pubblicazione di IARC Monograph 53 (1991)” riguardanti l’esposizione professionale, riporta che almeno 21 sostanze chimiche hanno mostrato negli studi “… significative associazioni esposizione-risposta ” e precisa che  comunque “… molte di queste osservazioni devono essere valutate in altri studi epidemiologici e importanti dati di tossicologia e biologia del cancro devono essere considerati insieme ai dati epidemiologici prima di poter effettuare una valutazione finale dei dati” 9.

 

L’associazione tra pesticidi e malattie neurodegenerative è molto controversa. Gli organofosforici interrompono la funzione colinergica e questo meccanismo d’azione costituisce una base di plausibilità all’effetto sul sistema nervoso centrale. Per esempio, esposizioni acute a dosaggi adeguati producono deficit neuropsicologici transitori, anche se di lunga durata. In questo caso si tratterebbe di effetti sintomatici. Si consideri che gli stessi farmaci usati per il trattamento della malattia di Alzheimer interferiscono con la trasmissione colinergica. Ma l'esposizione ai pesticidi innesca anche una serie di effetti, come stress ossidativo o infiammazione, che potrebbero a loro volta causare danni neuronali permanenti o progressivi e in questo senso indurre quindi la neurodegenerazione. Esiste quindi un razionale perché i pesticidi vengano considerati potenziali induttori di neurodegenerazione. Gli studi epidemiologici che hanno esaminato un'esposizione cronica a bassi livelli hanno però prodotto risultati contrastanti e non c’è consenso generale sull’associazione causale pesticidi-neurodegenerazione. Baltazar et al. 10 hanno esaminato il ruolo eziologico dell'esposizione ai pesticidi nelle malattie neurodegenerative, con particolare attenzione al Morbo di Parkinson e a specifiche sostanze come il paraquat, maneb, maneb, paraquat, dieldrin e la famiglia dei pesticidi dei piretroidi e inibitori del acetilcolinesterasi (AChE) (organofosfati e carbammati). La loro conclusione è negativa per una relazione tra esposizione a pesticidi a basso livello e Morbo di Parkinson, in contraddizione con altri studi invece positivi 11,12. Esiste un solido razionale per un ruolo patogenetico del rotenone e paraquat nel Morbo di Parkinson, basato sulla proprietà di queste sostanze di provocare una disfunzione mitocondriale 13–15, ma è da dimostrare se l’intensità di esposizione in agricoltura sia tale da rendere questi meccanismi di rilevanza clinica.

Controversa è anche l’associazione con altre malattie neurodegenerative 16. Alcuni studi hanno valutato la relazione epidemiologica con la malattia di Alzheimer e/o deterioramento cognitivo di varia patogenesi suggerendo una possibile associazione, ma senza alcuna dimostrazione di causalità 2,17–19. Gran parte degli studi su questo argomento hanno valutato l’esposizione sulla base di questionari o del luogo di residenza, raramente sull’uso di biomarcatori, rendendo la misura poco attendibile. Altri fattori confondenti sono l’interazione possibile tra esposizione e polimorfismi coinvolti nel metabolismo dei pesticidi (cioè la variabilità individuale nella capacità di eliminare sostanze estranee) 20, la variabilità nella diagnosi di disturbo cognitivo e le caratteristiche del gruppo di controllo. 

 

Dati relativamente solidi riguardano la vulnerabilità del cervello in via di sviluppo alla tossicità di prodotti chimici industriali, con conseguenze quali autismo, attention-deficit hyperactivity disorder, dislessia 21.

I dati fino ad ora acquisiti suggeriscono il rischio di cancro o malattie neurodegenerative, in particolare, per un numero crescente di pesticidi. I dati vengono comunque da studi osservazionali e riguardano soprattutto le esposizioni professionali. Debole è l’evidenza a favore dell’associazione nei casi di bassa esposizione, tipica della popolazione generale. È verosimile che il rischio riguardi specifiche molecole e la loro interazione con altri fattori predisponenti, ambientali o di suscettibilità individuale. 

Da aggiungere che migliaia di sostanze industriali sono in uso senza che vengano neanche studiate prima della loro commercializzazione. Il rischio è quindi potenzialmente maggiore di quanto possa ora risultare dall’evidenza epidemiologica. La storia ci insegna che ci sono voluti decenni per capire che gravi danni alla salute sono stati e sono provocati da sostanze molto diffuse come tabacco, alcol, eccesso di sale 22, cibi raffinati 23 e molti farmaci da banco abusati 24.  

 

1.             Hernández, A. F. et al. Toxic effects of pesticide mixtures at a molecular level: Their relevance to human health. Toxicology 307, 136–145 (2013).

2.             Baldi, I. et al. Neurobehavioral effects of long-term exposure to pesticides: Results from the 4-year follow-up of the PHYTONER Study. Occup. Environ. Med. 68, 108–115 (2011).

3.             Kim, K. H., Kabir, E. & Jahan, S. A. Exposure to pesticides and the associated human health effects. Sci. Total Environ. 575, 525–535 (2017).

4.             Alavanja, M. C. R. & Bonner, M. R. Occupational pesticide exposures and cancer risk: a review. J. Toxicol. Environ. Heal. Part B 15, 238–263 (2012).

5.             Mostafalou, S. & Abdollahi, M. Pesticides: an update of human exposure and toxicity. Archives of Toxicology vol. 91 549–599 (2017).

6.             Xie, B. et al. Association between pesticide exposure and risk of kidney cancer: A meta-analysis. Onco. Targets. Ther. 9, 3893–3900 (2016).

7.             VoPham, T. et al. Pesticide exposure and liver cancer: a review. Cancer Causes and Control vol. 28 177–190 (2017).

8.             Lewis-Mikhael, A. M. et al. Occupational exposure to pesticides and prostate cancer: A systematic review and meta-analysis. Occup. Environ. Med. 73, 134–144 (2016).

9.             Alavanja, M. C. R. & Bonner, M. R. Occupational pesticide exposures and cancer risk: A review. Journal of Toxicology and Environmental Health - Part B: Critical Reviews vol. 15 238–263 (2012).

10.           Baltazar, M. T. et al. Pesticides exposure as etiological factors of Parkinson’s disease and other neurodegenerative diseases-A mechanistic approach. Toxicol. Lett. 230, 85–103 (2014).

11.           Freire, C. & Koifman, S. Pesticide exposure and Parkinson’s disease: Epidemiological evidence of association. NeuroToxicology vol. 33 947–971 (2012).

12.           Moretto, A. & Colosio, C. The role of pesticide exposure in the genesis of Parkinson’s disease: Epidemiological studies and experimental data. Toxicology 307, 24–34 (2013).

13.           Archer, S. L. Mitochondrial Dynamics — Mitochondrial Fission and Fusion in Human Diseases. N. Engl. J. Med. 369, 2236–2251 (2013).

14.           Betarbet, R. et al. Intersecting pathways to neurodegeneration in Parkinson’s disease: Effects of the pesticide rotenone on DJ-1, α-synuclein, and the ubiquitin-proteasome system. Neurobiol. Dis. 22, 404–420 (2006).

15.           Brooks, A. I., Chadwick, C. A., Gelbard, H. A., Cory-Slechta, D. A. & Federoff, H. J. Paraquat elicited neurobehavioral syndrome caused by dopaminergic neuron loss. Brain Res. 823, 1–10 (1999).

16.           Sánchez-Santed, F., Colomina, M. T. & Herrero Hernández, E. Organophosphate pesticide exposure and neurodegeneration. Cortex vol. 74 417–426 (2016).

17.           Zaganas, I. et al. Linking pesticide exposure and dementia: what is the evidence? Toxicology 307, 3–11 (2013).

18.           Hayden, K. M. et al. Occupational exposure to pesticides increases the risk of incident AD: The Cache County Study. Neurology 74, 1524–1530 (2010).

19.           Parrón, T., Requena, M., Hernández, A. F. & Alarcón, R. Association between environmental exposure to pesticides and neurodegenerative diseases. Toxicol. Appl. Pharmacol. 256, 379–385 (2011).

20.           Aloizou, A. M. et al. Pesticides, cognitive functions and dementia: A review. Toxicol. Lett. 326, 31–51 (2020).

21.           Grandjean, P. & Landrigan, P. J. Neurobehavioural effects of developmental toxicity. lancet Neurol. 13, 330–338 (2014).

22.           He, F. J. & MacGregor, G. A. Reducing population salt intake worldwide: from evidence to implementation. Prog. Cardiovasc. Dis. 52, 363–382 (2010).

23.           Kanoski, S. E. & Davidson, T. L. Western diet consumption and cognitive impairment: Links to hippocampal dysfunction and obesity. Physiol. Behav. 103, 59–68 (2011).

24.           Heidelbaugh, J. J., Kim, A. H. & Walker, P. C. Overutilization of proton-pump inhibitors: What the clinician needs to know. Therap. Adv. Gastroenterol. 5, 219–232 (2012).


Perchè è utile una Memory Unit

Memory Unit

Epidemiologia e Termini

Secondo le stime del World Alzheimer Report 2015, 46.8 milioni di persone nel mondo hanno demenza, e questo numero è stimato aumentare a 74.7 nel 2030 e a 131.5 nel 2050 (Wu et al. 2017). 

L’inizio della demenza è subdolo e si presenza come una sindrome “lieve” (Mild Cognitive Impairment). Soggetti con MCI sono eterogenei nella espressione clinica e prognosi. La prevalenza di MCI è di 4-19% in persone oltre i 65 anni di età. Nella pratica clinica, MCI deve essere concettualizzato come una condizione di rischio, utile da riconoscere per mettere in atto una prevenzione rigida. Alla base delle diverse sindromi ci sono malattie, tra cui le più note e comuni sono la Malattia di Alzheimer; le Demenze Vascolari e le cosiddette “Demenze Miste”.

Vantaggi della Prevenzione e Diagnosi Precoce

La diagnosi richiede una visita neurologica, un’intervista strutturata, somministrazione di test cognitivi, esami del sangue e neuroimmagini come elementi di base. L’approccio corretto diagnostico/terapeutico è quindi multidisciplinare, da parte di un team dedicato

La demenza è stata considerata a lungo una condizione senza speranze di prevenzione o trattamento. Ma sostanziali progressi sono stati fatti nell’ultimo decennio. Solidi dati indicano che esiste una prevenzione primaria e secondaria efficace (Friberg and Rosenqvist 2018; Lafortune and Brayne 2017). Il deterioramento cognitivo negli anziani ha una varietà di possibili cause, inclusi effetti collaterali dei farmaci, squilibri metabolici e / o endocrini, delirio dovuto a malattie intercorrenti, depressione oltre alle demenze. Alcune cause possono essere trattate con efficacia. Inoltre, molte delle manifestazioni della demenza sono trattabili. Il decorso può essere modificato in modo da ridurre il peso dei sintomi e la abilità dei familiari ad affrontarli.

Quindi è importante la diagnosi precoce per modificare stili di vita e ridurre I fattori di rischio (Livingston et al. 2017). La diagnosi precoce diventerà essenziale qualora nuovi farmaci disease modifying (attualmente in fase di trial) dovessero essere approvati per entrare in uso terapeutico. L’opportunità considerare sempre con maggiore attenzione gli approcci non-farmacologici è sottolineata da diverse recenti pubblicazioni (Growdon et al. 2021; Steinman et al. 2006; Gerlach et al. 2017; Rhee, Pothoulakis, and Mayer 2009)

Scopo del Progetto 

Il progetto riguarda la istituzione di una struttura ambulatoriale dedicata alla prevenzione, diagnosi e trattamento del disturbo neurocognitivo. Il progetto include una componente “sociale” che renda disponibili sul territorio le nuove indicazioni diagnostiche e di prevenzione.

L’esigenza di una struttura dedicata alla diagnosi e trattamento dei disturbi neurocognitivi ed alla attivazione di trial clinici nel campo dei disturbi cognitivi è riconosciuta da prestigiosi centri o agenzie di sanità pubblica. I risultati di un recente lavoro della Lancet Commission on Dementia Prevention, Intervention, and Care (Livingston et al. 2017)indicano una potenziale riduzione della incidenza di demenze del 30% a seguito del controllo dei fattori di rischio. La stessa Commissione raccomanda la diagnosi e trattamento di MCI e fornisce indicazioni per il trattamento della demenza fino alle raccomandazioni per la end‑of‑life care. Diverse istituzioni, scientifiche o politiche, sottolineano la necessità di affrontare il problema demenza (Bennett et al. 2006).

Bibliografia

Bennett, David A., Julie A. Schneider, Yuxiao Tang, Steven E. Arnold, and Robert S. Wilson. 2006. “The Effect of Social Networks on the Relation between Alzheimer’s Disease Pathology and Level of Cognitive Function in Old People: A Longitudinal Cohort Study.” Lancet Neurology 5 (5): 406–12. https://doi.org/10.1016/S1474-4422(06)70417-3.

Friberg, Leif, and Mårten Rosenqvist. 2018. “Less Dementia with Oral Anticoagulation in Atrial Fibrillation.” European Heart Journal39 (6): 453–60. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehx579.

Gerlach, Lauren B., Mark Olfson, Helen C. Kales, and Donovan T. Maust. 2017. “Opioids and Other Central Nervous System–Active Polypharmacy in Older Adults in the United States.” Journal of the American Geriatrics Society 65 (9): 2052–56. https://doi.org/10.1111/JGS.14930.

Growdon, Matthew E., Siqi Gan, Kristine Yaffe, and Michael A. Steinman. 2021. “Polypharmacy among Older Adults with Dementia Compared with Those without Dementia in the United States.” Journal of the American Geriatrics Society 69 (9): 2464–75. https://doi.org/10.1111/JGS.17291.

Lafortune, Louise, and Carol Brayne. 2017. “Dementia: Dementia Prevention-a Call for Contextualized Evidence (Vol 13, Pg 579, 2017).” NATURE REVIEWS NEUROLOGY 13 (11): 705.

Livingston, Gill, Andrew Sommerlad, Vasiliki Orgeta, Sergi G Costafreda, Jonathan Huntley, David Ames, Clive Ballard, Sube Banerjee, Alistair Burns, and Jiska Cohen-Mansfield. 2017. “Dementia Prevention, Intervention, and Care.” The Lancet 390 (10113): 2673–2734.

Rhee, Sang H, Charalabos Pothoulakis, and Emeran a Mayer. 2009. “Principles and Clinical Implications of the Brain-Gut-Enteric Microbiota Axis.” Nature Reviews. Gastroenterology & Hepatology 6 (5): 306–14. https://doi.org/10.1038/nrgastro.2009.35.

Steinman, Michael A., C. Seth Landefeld, Gary E. Rosenthal, Daniel Berthenthal, Saunak Sen, and Peter J. Kaboli. 2006. “Polypharmacy and Prescribing Quality in Older People.” Journal of the American Geriatrics Society 54 (10): 1516–23. https://doi.org/10.1111/J.1532-5415.2006.00889.X.

Wu, Yu-Tzu, Alexa S Beiser, Monique M B Breteler, Laura Fratiglioni, Catherine Helmer, Hugh C Hendrie, Hiroyuki Honda, M Arfan Ikram, Kenneth M Langa, and Antonio Lobo. 2017. “The Changing Prevalence and Incidence of Dementia over Time—Current Evidence.” Nature Reviews Neurology 13 (6): 327.

Clinical Guidance in Neuropalliative Care - AAN Position Statement

AAN (American Accademy of Neurolgy) ha pubblicato (Neurology® 2022;98:409-416. doi:10.1212/WNL.0000000000200063) - Aprile 2022 un AAN Position Satement su Clinical Guidance in Neuropalliative Care.

 

Riporto alcuni frammenti del testo, di particolare interesse:

 

Le cure palliative sono un approccio alle cure mediche che mira a migliorare la qualità della vita dei pazienti con malattie che alterano la vita e delle loro famiglie, attraverso la prevenzione e la gestione della sofferenza fisica, psico-filosofica e spirituale. 

Il campo delle cure palliative inizialmente sviluppato come modello di cura per i pazienti con cancro avanzato; tuttavia, negli ultimi anni, l'evidenza ha dimostrato un beneficio per le cure palliative nelle malattie neurologiche gravi a causa dell'elevato carico di sintomi, del declino neurologico funzionale, delle elevate esigenze del caregiver, dell'incertezza prognostica e della necessità di un processo decisionale complesso durante tutto il corso della malattia.

 

Comunicazione 

Le discussioni sulla prognosi sono fondamentali per facilitare la comprensione della malattia e responsabilizzare i pazienti e familiari nel processo decisionale per raggiungere un'assistenza coerente con gli obiettivi di cura stabiliti. Molte malattie neurologiche come ictus, coma post-anoxico, trauma cranico, encefalite e malattia demielinizzante sono intrinsecamente incerte in termini di sopravvivenza acuta, recupero funzionale o possibilità di recidiva. I neurologi spesso citano l'incertezza prognostica come la ragione per cui si sentono a disagio nel discutere il processo decisionale con i pazienti e le famiglie, ma la letteratura supporta che i pazienti desiderano informazioni prognostiche anche quando la prognosi è incerta e apprezzano quando i loro medici rivelano la presenza di tale incertezza.

Transizioni verso l'assistenza nella fase fine-vita

I medici hanno forti obblighi etici a sostenere la vita, quando possibile e secondo quanto desiderato dal paziente. Quando la prognosi neurologica è infausta, tuttavia, questi obblighi etici dovrebbero essere attentamente valutati nel contesto del bilanciamento dei benefici e degli oneri degli interventi medici, del sollievo dalla sofferenza e del rispetto per l'autonomia del paziente. Quando le cure che prolungano la vita non sono più disponibili o desiderate da un paziente o da familiari, il medico ha l'obbligo di spostare l'attenzione dell'assistenza sulla qualità della vita e sul comfort

Considerazioni etiche per le cure neuropalliative in disturbi neurologici specifici 

Il decadimento cognitivo lieve e la demenza sono problemi comuni nell'invecchiamento. La progressione della demenza porta gradualmente a un livello di deterioramento cognitivo in cui i pazienti non sono in grado di comprendere le informazioni mediche e di prendere importanti decisioni sanitarie. Una diagnosi corretta e tempestiva può aiutare i pazienti e le loro famiglie a prepararsi alle conseguenze della disfunzione cognitiva e della perdita di autonomia, nel rispetto dei valori identificati. La recente dichiarazione di posizione del AAN sulle considerazioni etiche nella diagnosi e nella cura della demenza entra più in dettaglio sui principi di comunicazione e supporto per questi pazienti

Rifiuto/Revoca del Trattamento 

I pazienti con malattie neurologiche irreversibili e capacità decisionale dell'assistenza sanitaria mantenuta possono decidere di rifiutare o interrompere gli interventi di sostegno vitale. Questi trattamenti possono includere nutrizione e idratazione artificiali, ventilazione meccanica, vasopressori e inotropi o antibiotici. In base al principio etico del rispetto dell'autonomia, i cittadini hanno il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento imposto che prolunghi la vita per consentire il verificarsi di una morte naturale e pacifica. Tale azione è conforme ai più alti standard etici della pratica medica 

Gestione dei sintomi refrattari gravi a fine vita

Una volta presa la decisione di rinunciare al trattamento di sostegno vitale, i medici hanno l'obbligo etico di ridurre al minimo le sofferenze successive. Ciò è particolarmente importante per i pazienti con grave disfunzione motoria e cognizione intatta perché il potenziale di sofferenza è elevato, così come il rischio di sintomi sotto-riconosciuti. La maggior parte dei sintomi alla fine della vita può essere gestita senza la necessità di sedazione, ma questo non è sempre il caso quando i sintomi sono gravi o in rapida escalation. Quando si deve scegliere tra comfort e vigilanza, devono essere prese in considerazione le preferenze del paziente e della famiglia su questo argomento. 

Comuncazione medica e statistica

Numerose, autorevoli fonti riportano l’opportunità, a volte necessità, di usare elementari concetti statistici o comunque dati numerici nella comunicazione medica. Ma questa esigenza contrasta con il noto, purtroppo, analfabetismo scientifico (gli anglosassoni usano il termine innumerate in analogia a illetterato). Le conseguenze negative possono essere rilevanti, soprattutto quando i media riportano in modo improprio dati che condizionano comportamenti di salute pubblica. 

Un editoriale del prestigioso New England Journal of Medicine1 (https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2201801) riporta un esempio, che mi sembra utile far conoscere. Il riferimento è agli Stati Uniti, ma può valere senz’altro per il nostro Paese. Riporto alcune frasi.

“Fornire dati numerici è importante: gli studi rivelano che fornire statistiche può aiutare a guadagnare la fiducia delle persone e motivarle a impegnarsi in comportamenti più sani; molte persone trovano utili anche i dati numerici”.  … “Gli americani sono functionally innumerate, privi delle competenze matematiche di base necessarie per prendere decisioni sanitarie efficaci sulla base delle statistiche che in genere incontrano. Anche le persone altamente istruite possono essere innumerate.”

“Ad esempio, nel luglio 2021, molti media hanno riferito che 4115 persone completamente vaccinate, negli Stati Uniti, avevano contratto infezioni tali da provocare ricovero in ospedale o la morte.  … Questo numero elevato ha confuso il pubblico e senza dubbio ha contribuito all'ansia e alla sfiducia nella campagna vaccinale”

Se riportiamo i dati in modo appropriato il messaggio veicolato è netto e ben diverso.  Il numero 4115 non è per sé informativo se non viene messo in rapporto al numero totale di persone vaccinate. E non basta. Per verificare il risultato della vaccinazione bisogna paragonare i dati con quelli riscontrati nelle persone non-vaccinate. Se esprimiamo i dati in percentuale (per esempio su 100.000 individui, vaccinati verso non-vaccinati) si evince chiaramente che i casi di ospedalizzazione tra vaccinati è 10-20 volte più basso rispetto ai non vaccinati. 

Quindi il vaccino è senza dubbio molto efficace.

1 Peters E, Salas RN. Communicating Statistics on the Health Effects of Climate Change. New England Journal of Medicine. 2022 Jul 16.